Dopamina e comportamento in una nuova interpretazione funzionale
GIOVANNI ROSSI
NOTE
E NOTIZIE - Anno XV – 26 maggio 2018.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in
corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di
studio dei soci componenti lo staff
dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
La dopamina, il neurotrasmettitore del sistema di segnalazione che è
stato oggetto dell’azione dei primi veri psicofarmaci e che ha consentito la
prima terapia molecolare mirata della malattia di Parkinson, è un modulatore
critico, tanto dell’apprendimento
quanto della motivazione. Questo
duplice ruolo, nell’ottica delle interpretazioni correnti delle basi molecolari
delle funzioni psichiche, pone un problema di notevole portata: come possono,
le “cellule bersaglio”, sapere se un aumento di livello della catecolamina sia
un segnale per apprendere o per indurre all’azione?
Joshua D. Berke ha affrontato questo problema secondo
un nuovo criterio, che potrebbe diventare un principio paradigmatico per la
comprensione del ruolo dei sistemi dopaminergici in numerosi processi di
fondamentale importanza nel sistema nervoso centrale.
(Joshua D. Berke, What does dopamine mean? Nature Neuroscience - Epub ahead of
print doi: 10.1038/s41593-018-0152-y, 2018).
La provenienza
dell’autore è la seguente:
Department Neurology and Psychiatry, and Kavli
Institute for Fundamental Neuroscience, University of California at San Francisco,
San Francisco, California (USA).
Se pensiamo che la prima
molecola ad attività neurotrasmissiva scoperta, ossia l’acetilcolina, era già
stata sintetizzata nel 1867[1]
quando Dale nel 1914 notò che aveva gli stessi
effetti della stimolazione parasimpatica, ci rendiamo conto di quanto sia più
recente la storia della ricerca sulle catecolamine[2] e, in
particolare, sulla dopamina. Queste molecole, costituite da un nucleo benzenico
con due gruppi idrossilici adiacenti, una catena laterale etilamminica
con un singolo gruppo amminico che può avere più sostituti, sono state
inizialmente trovate nel sistema nervoso autonomo, come l’acetilcolina. Nel
1954 Marthe Vogt dimostrò che la noradrenalina non
era uniformemente distribuita nel cervello, e che la sua distribuzione non
necessariamente coincideva con la densità dei vasi sanguigni, suggerendo un suo
ruolo quale trasmettitore. Subito dopo si scoprì che la dopamina presentava una
distribuzione cerebrale differente e specifica, un elemento diacritico per
abbandonare l’idea che fosse solo un metabolita adrenalinico e comprendere che
si trattava di un neurotrasmettitore indipendente. Paragonata ai neuromediatori
aminoacidici, quali il glutammato (eccitatorio) e
l’acido γ-aminobutirrico (inibitorio), la
dopamina, come le altre catecolamine, esiste nel cervello a concentrazioni
bassissime, micromolari; ma ciononostante svolge una
straordinaria azione regolatrice su importanti aspetti della fisiologia
encefalica, che vanno dalla motricità al piacere, dalla memoria alla
motivazione.
La biosintesi della dopamina
ha come tappa limitante, cioè regolatrice, quella catalizzata dall’enzima tirosina idrossilasi, che converte la
L-tirosina in L-Dopa. La Dopa
decarbossilasi, enzima piridossalfosfato-dipendente,
determina la sintesi di dopamina. Nel trattamento della malattia di Parkinson,
questo processo è sfruttato con somministrazione terapeutica di L-Dopa,
molecola in grado di attraversare la barriera emato-encefalica (BEE). In condizioni
fisiologiche, le azioni della dopamina cessano per effetto della ricaptazione
nei neuroni, per catabolismo e diffusione. La scoperta della ricaptazione di
una catecolamina, la noradrenalina, valse a Julius Axelrod il Premio Nobel nel
1970; attualmente si studiano le interessanti interazioni della molecola
trasportatrice della dopamina con il recettore D2 della dopamina.
Un aspetto importante per la neurotrasmissione
dopaminergica è costituito da effetti causati dall’attivazione dei neuroni che
adottano questa catecolamina su grandi volumi di tessuto cerebrale: la volume transmission,
ossia la diffusione del neurotrasmettitore attraverso i fluidi extracellulari
cerebrali in aree lontane dalle cellule bersaglio, con l’attivazione di
recettori extrasinaptici, per una durata temporale di
gran lunga maggiore di quella della trasmissione sinaptica convenzionale. Tale
azione prolungata è anche detta trasmissione
tonica, in contrapposizione con la trasmissione
fasica, ossia il rapido legame al recettore post-sinaptico dopo il rilascio
dal terminale.
Joshua D. Berke affronta il problema
dell’interpretazione da parte dei neuroni bersaglio del segnale costituito dal
crescere dei livelli di dopamina: vuol dire registrare e conservare o generare
conazione e movimento? Generalmente si assume che il processo di motivazione, inteso nel senso della
neurofisiologia classica, implichi le lente e minime variazioni di
concentrazione della trasmissione tonica della
dopamina, mentre le fluttuazioni rapide e più consistenti della trasmissione fasica sarebbero in questione negli
errori di previsione della ricompensa nell’apprendimento.
Questo paradigma, osserva Berke, è messo in
discussione da recenti osservazioni, che si possono così sintetizzare
concettualmente: la dopamina veicola valore motivazionale e promuove il
movimento anche nella scala temporale dei sub-secondi. Su questa base, l’autore
propone una diversa prospettiva per l’interpretazione del ruolo della
catecolamina nella regolazione dell’attività corrente dell’encefalo connessa
con processi psichici di base.
Secondo Berke,
il rilascio di dopamina associato ai processi di motivazione è rapidamente e localmente scolpito dai recettori
presenti sui terminali dopaminici, indipendentemente
dai potenziali d’azione delle cellule dopaminergiche. I neuroni bersaglio
immediatamente operano la conversione (switch) dalla “modalità apprendimento” (learning mode) alla “modalità prestazione” (performance mode), con gli interneuroni dei sistemi colinergici dello striato
proposti quali possibili candidati responsabili del meccanismo di conversione.
Berke nota che l’impatto comportamentale della dopamina varia in modo
significativo da una subregione all’altra, ma - sostiene il ricercatore
dell’Università della California a San Francisco - in ogni caso la dopamina
fornisce una stima dinamica dell’opportunità di spendere risorse interne
limitate, quali l’energia, l’attenzione o il tempo.
Ad avviso di chi scrive, la
prospettiva proposta da Berke merita attenzione e
considerazione, ma la reale aderenza di questo modello interpretativo alla
realtà neurofisiologica e l’utilità del suo impiego sono ancora tutte da
dimostrare.
L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e
invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E
NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
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[1] Da parte di Adolf von Baeyer.
[2] Le catecolamine predominanti nell’encefalo sono dopamina, noradrenalina [NOR da N = azoto O = ohne (senza) R = radikal (gruppo metilico CH3)] e adrenalina. Nella pubblicistica scientifica americana sono conservate le vecchie denominazioni di epinefrina e nor-epinefrina.